IL NOSTRO FUTURO
Come affrontare il mondo dei prossimi vent’anni.

L’autore è Alec Ross, conosce bene l’Italia ed è l’ex consigliere per l’Innovazione del Segretario di stato Hillary Clinton.

Il testo racconta il futuro che verrà, con un importante focus sul ruolo della tecnologia nelle trasformazioni che già oggi stiamo vivendo.

Ho apprezzato la testimonianza diretta di esperienze vissute in diverse parti del Mondo, anche molto distanti da noi, sia economicamente che culturalmente.

Traggo spunto da alcune frasi del libro per esporre di seguito le mie considerazioni.


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“il pericolo massimo (ndr di perdere il posto di lavoro) riguarda il 60% della forza lavoro statunitense la cui funzione principale è quella di aggregare e applicare informazioni.”

Tanto si è scritto e tanto si scriverà sull’impatto della tecnologia sui posti di lavoro. Per quanto a me noto la tecnologia creerà dei posti di lavoro, ma in misura minore rispetto a quelli che farà “sparire”. A questo si aggiungono i trend delle economie mature, penso a quello demografico (aumento della percentuale di “anziani”) e a quello della distribuzione della ricchezza (i ricchi sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri).

Curioso l’esempio dei robot che fanno le pulizie all’aeroporto di Manchester, dotati di sensori per muoversi con disinvoltura se incontrano un ostacolo umano dicono in perfetto inglese “mi scusi, sto facendo le pulizie” e prosegue aggirandolo.

Significative le iniziative di alcuni paesi del Nord Europa, che stanno rafforzando la rete di sicurezza sociale per consentire alle persone che perdono il lavoro di trovarne un altro tra quelli messi a disposizione dal nuovo contesto tecnologico. Ciò significa investire pesantemente sulla formazione, che si tratti di tassisti, camerieri, o ragionieri.

Sui futuribili equilibri uomo-macchina nel mondo del lavoro, con una riflessione sull’Italia, segnalo anche questo godibile articolo di Enrico Verga intitolato L’industria 4.0 e il futuro dell’occupazione, ovvero un uomo e un cane.

“In realtà, nell’economia della condivisione nessuno condivide niente. La puoi chiamare anche economia della condivisione, ma non dimenticare la carta di credito.”

Nel mio piccolo anche io ho sempre pensato che la sharing economy non fosse basata sullo sharing. Con AirBnb non si condividono appartamenti, con Uber e con il carsharing non si condividono auto, semplicemente se ne usufruisce per un determinato lasso di tempo e si paga di conseguenza, qualcosa di molto più simile ad un noleggio che ad una condivisione.

Non c’è nulla di male in questo, l’importante è averne consapevolezza. Del resto i piani di Uber, che ha un valore circa doppio a Hertz e Avis messe assieme, non sono quelli di sostituirsi ai Taxi, ma di dominare la logistica urbana. Forse negli Stati Uniti lo sta già facendo ma mi aspetto acquisizioni di società che si occupano di consegne in senso lato, dalle pizze ai medicinali. Segnalo sul tema anche questo articolo intitolato Delivery Experience.

E sono oramai in molti a sostenere come non sia affatto vero che ai Millennial piace lo sharing e odiano la proprietà, ad esempio Enrico verga in questo suo articolo I millennials non sono fighi: sono incompresi, poveri e sfruttati.

I flussi di denaro sotto forma digitale sono uno dei successi delle grandi piattaforme della sharing economy, e non solo. Una quantità enorme di piccole transazioni fatte da chi usufruisce dei servizi in giro per il Mondo.

E’ così che si disperde il mercato.

Questo flusso di danaro viene convogliato verso i (pochi) gestori delle piattaforme, entità che hanno bassissimi costi di produzione ed una scalabilità quasi infinita, con sede spesso nella Silicon Valley. Il tutto somiglia all’antica Roma, dove confluivano i tributi dalle più remote province dell’impero.

E’ così che si concentra il mercato.

Gli effetti sul mondo del lavoro e sulla distribuzione della ricchezza cominciano già ad essere evidenti, e la tutela dei lavoratori e delle persone, passerà, si spera, dai datori di lavoro ai Governi.

Anche la fiducia è stata digitalizzata e codificata, e se prima aveva la forma di uno sguardo o di una stretta di mano oggi si manifesta sotto forma di recensioni e like. Di questo tema ho parlato anche nella recensione del libro Verba Volant, di Paolo Iabichino.

“La popolazione mondiale dovrebbe superare i nove miliardi entro la fine del prossimo trentennio, e la quantità di cibo prodotto dovrà aumentare del 70% per evitare che il mondo diventi ancora più affamato.”

Nel libro si esaminano vari casi già esistenti di applicazioni della tecnologia per avere un’agricoltura “intelligente”. Non parliamo di sementi geneticamente modificate ma di algoritmi per ottimizzare fertilizzazioni, raccolti, irrigazioni. I big dell’agro business quali DuPont e John Deere sono molto attive con ricerca e, soprattutto acquisizioni. Anche Monsanto lo era prima di essere acquisita essa stessa da Bayer. La mossa di Bayer è da vedere secondo me anche in una ottica espansiva, in un contesto nel quale molti medicinali diminuiscono la loro profittabilità (scadenza di brevetti, concorrenza di generici, concorrenza di altri farmaci) le strade affini sono almeno 3: farmaci specialistici (bassi volumi ma alta reddittività), chimica (con annessi e connessi), agricoltura e alimentazione.

“Robot che si prendono cura di noi quando invecchiamo. Attacchi informatici alle nostre case. Animali estinti che tornano sulla terra. Sensori onnipresenti che cancellano la privacy come noi la conosciamo.”

Molto di questo è già realtà, e quando si parla di competenze richieste in futuro è fuori discussione che ci sia bisogno di tante persone con competenze analitiche che però abbiano anche consapevolezza degli ambiti più umanistici, filosofici e psicologici. Così come i sili di dati sono già oggi un limite al loro utilizzo presto anche i sili di competenze saranno un limite.

Inoltre in un mondo di macchine ci saranno comunque svariati miliardi di esseri umani, e quindi si dovrà da un lato interagire con gli esseri umani e dall’altro insegnare alle macchine a farlo al meglio.

Perché se è vero che serviranno persone con competenze analitiche che gestiscano le macchine, è anche vero che le macchine e gli algoritmi hanno difficoltà con l’empatia, il linguaggio, l’ironia, l’istinto, l’intuito.

E per sapere molto altro ti suggerisco di leggere il libro!

A presto
giancarlomocci.com