Questo non è un libro, questo è IL libro. Il libro dal quale farsi guidare per cogliere appieno le enormi opportunità offerte dall’economia dell’esperienza; il libro che ho avuto l’onore di ricevere dagli autori prima che fosse disponibile al pubblico; il libro del quale puoi leggere la mia recensione di seguito.

E’ finalmente disponibile la terza edizione del testo che da oltre 20 anni rappresenta il punto di riferimento nel mondo dell’Experience Economy. Scritto da B. J. Pine II e James H. Gilmore si presenta ricco di novità.

Oggi più che mai, immersi nelle esperienze delle quali in ogni istante ci nutriamo, prestiamo sempre meno attenzione ai canali attraverso i quali ne fruiamo. Questo significa che se prima ci si focalizzava sul come e sul dove i clienti spendevano, oggi è necessario porre attenzione al perché: perché una persona dovrebbe scegliere e pagare i prodotti, i servizi, e le esperienze offerte da un’azienda piuttosto che da un’altra.

Inoltre se è vero che tutti i prodotti sono servizi, e tutti i servizi sono esperienze allora è su queste ultime che dobbiamo concentrarci, per fare in modo che le persone siano felici di spendere per immaginarle, viverle, e ricordarle.

Ebbene questo libro ci offre concetti, metodi, framework, linee guida per creare esperienze ottimali, ossia che siano al contempo:

Robuste: in coerenza con il concetto di Flow, che abbiamo già visto nel libro Customer Experience Design, è importante che, nel vivere le esperienze, le persone siano adeguatamente coinvolte in un continuo equilibrio tra l’essere assorbite o immerse, e tra l’essere passive o attive, come accade quando guardiamo assorti un film che ci piace (ci assorbe e siamo passivi); frequentiamo con attenzione un corso di formazione (ci assorbe e avviamo un ruolo attivo); visitiamo una mostra (è immersiva ed abbiamo un ruolo passivo); pratichiamo un’attività sportiva o ludica (è immersiva ed abbiamo un ruolo attivo). Questa illustrazione di @IdeaFreak ispirata dal libro ci aiuta a comprendere.

Coesive: da intendersi come omogenee, coerenti, senza strappi, coinvolgenti, in un racconto che scorre fluido e non va mai fuori tema. Per ottenere esperienze coesive è anche importante conciliare sapientemente gli aspetti digitali e quelli fisici che coinvolgono i 5 sensi, soprattutto tatto, olfatto e gusto meno presenti in ambito digitale. Direi che si tratta di un concetto che ricorda quello di seamless experience talvolta utilizzato quando si parla di omnicanalità.

Personali: per personalizzare qualcosa non dobbiamo necessariamente avere conoscenza del cliente, per fare qualcosa di personale, invece, dobbiamo approfondire e comprendere aspetti della natura di quella persona. Il concetto di personale e personalizzato sono pertanto molto diversi, potendosi il primo facilmente automatizzare, programmare, ordinare su richiesta al pari di un servizio: infatti si parla spesso di servizi di personalizzazione, dalla scelta degli accessori per l’automobile alla richiesta di apporre le proprie iniziali su una camicia o una borsa.

Drammatiche: ci riferiamo ai drammi teatrali, nel senso che le esperienze devono essere messe in scena, ecco perché gli autori sostengono fermamente che “Work Is Theatre & Every Business a Stage”. In questo ambito trovano piena applicazione i principi di experience design, il teorema del picco e della fine di Daniel Kahneman, il principio per il quale non hai una seconda occasione per fare una buona prima impressione, ed anche i modelli di Gustav Freytag ben noti a chi si occupi di teatro, cinema, storytelling.

Trasformative: questa è una caratteristica molto speciale; è relativa al fatto che ci sono esperienze che lasciano il segno, che siano esse puntuali o durature nel tempo, diverse tra loro o la reiterazione della medesima. Questo genere di cambiamenti partono da noi stessi, dal nostro intimo, sulla base di ciò che noi già sappiamo, siamo, e crediamo, consapevolmente o meno. Le aziende non posso imporre questi cambiamenti, non devono convincerci e nemmeno assecondarci, devono invece rispettare il punto di vista dei clienti, e supportarli e guidarli nel cambiamento, nella trasformazione.
Con i servizi prestiamo attenzione a risparmiare il tempo, con le esperienze a spenderlo, e con le trasformazioni ad investirlo bene. Investiamo del tempo aspirando a qualcosa, una vita migliore, un lavoro migliore, un fisico migliore, e ancora una capacità nuova, un’amicizia nuova, un’attitudine nuova. In sintesi, con la trasformazione il cliente diventa il prodotto (della trasformazione).

Spesso si regalano esperienze per sostenere la vendita di prodotti e servizi.

Ad oggi la maggior parte dei business sono basati sulla vendita di prodotti e servizi, questo anche per chi riesce ad offrire ai clienti delle belle esperienze. Ad esempio da Starbucks tipicamente si paga per il prodotto ordinato e per il servizio, ma l’esperienza è gratis, infatti non viene pagato l’ingresso, né il tempo di permanenza.

Altre volte si monetizza il tempo, ma in maniera indiretta; è il caso della pubblicità sui social media nei quali gli sponsor retribuiscono il tempo di utilizzo delle persone. Ma cosa accadrebbe se questi social dovessero guadagnare facendo pagare ai clienti il tempo di utilizzo? Probabilmente dovrebbero trasformarsi in media con contenuti di valore, e a questo punto la pubblicità stessa potrebbe essere monetizzata nel momento in cui essa fosse esperienza. Direi che la pubblicità perfetta è quella che le persone pagherebbero per vedere.

L’experientization è il passo successivo alla servitization. 

Agli eventi organizzati da Starbucks, però, la partecipazione è a pagamento, ed anche Airbnb, che alle origini vendeva solo posti letto, adesso vende anche esperienze, e per le esperienze più memorabili il posto letto (il servizio) è gratis, esattamente l’opposto di quanto avviene nella maggior parte dei casi.

Peraltro vendere esperienze ha un duplice vantaggio in termini di business: si ottiene un ricavo diretto dai clienti che pagano per viverle, e si possono generare ricavi aggiuntivi mentre le vivono. Ad esempio nei parchi divertimenti si paga l’ingresso e si può spendere altro denaro durante la visita, nei cinema si guarda un film, si vede pubblicità, e si può usufruire del bar; ed il discorso è simile per eventi sportivi, servizi in streaming, crociere, etc … . In maniera analoga in ambito retail è utile ragionare su come aumentare e monetizzare il tempo che le persone trascorrono nei negozi: dal negozio perfetto non vorresti mai uscire, e pagheresti per entrare.

Il denaro che le persone sono disposte a pagare per vivere un’esperienza è direttamente proporzionale al valore che ne ricevono.

Il tempo è una risorsa scarsa, pur se distribuita in maniera democratica, 24 ore al giorno per tutti, giovani e anziani, ricchi e poveri, uomini e donne, tutti abbiamo a disposizione 24 ore di tempo. La differenza quindi non è nel tempo del quale disponiamo, ma nel come lo spendiamo e nel valore che gli attribuiamo.

Pertanto le aziende che vogliano nutristi nell’economia delle esperienze devono essere in grado di monetizzarle anche in maniera diretta, il che significa avere clienti felici di pagare sia per il tempo che trascorrono vivendo le esperienze offerte che per avere la possibilità di viverle.

Dear B. Joseph Pine II and James H. Gilmore, I thank you very much for sending me a copy of your book in advance. As I’ve written in my review it is not a book, it is THE book, the must-reading book to embrace the experience economy world.

Buona Lettura!
Gian Carlo Mocci
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